Lo studio della filosofia nella scuola: il caso italiano e la sua importanza storica
DOI:
https://doi.org/10.17421/2498-9746-01-14Abstract
Partendo dalla recente tendenza a limitare, o anche eliminare, l’insegnamento della filosofia nelle università e nelle scuole superiori italiane, l’articolo illustra la crisi del tradizionale insegnamento scolastico della filosofia in Italia — quale si era consolidato a partire dalla Riforma Gentile (1923) — e il parallelo manifestarsi, soprattutto dopo il 1968, di un grave abbassamento di livello nel contenuto dei testi scolastici. All’origine di questa crisi, nella complessità della situazione sociale e politica italiana, viene evidenziato, tra altri aspetti, il ruolo del pensiero di Gramsci, di cui, al seguito di Augusto Del Noce, si sottolinea la stretta dipendenza dal neo-idealismo italiano e soprattutto da Gentile.
L’alleanza del gramscismo con il neo-illuminismo borghese e l’involontario ma reale contributo che da essa consegue al prevalere delle discipline pratiche, tecniche e scientifiche e delle scienze umane sulle discipline filosofiche e umanistiche vengono presentati quale esito necessario della contraddizione, propria dell’hegelismo fin dall’origine e ereditata anche da Gramsci attraverso il marxismo e il neo-ideliasmo italiano, tra l’ispirazione religiosa, per sua natura rivolta a un’unità che dia senso al tutto, e il pregiudiziale immanentismo assoluto.
L’ispirazione umanistico-religiosa, presente in Gramsci ma contraddetta dal suo rifiuto a priori della trascendenza, viene confrontata con il pensiero di Newman, che Gramsci stimò ma che conobbe troppo parzialmente. Da questo confronto viene dedotta la possibilità di svolgere l’umanesimo gramsciano, liberato dai suoi pregiudizi di fondo, in opposizione alle tendenze antiumanistiche dell’esperienza italiana, la quale appare quasi modello di quanto si profila anche nel destino delle altre nazioni.